Lasciando stare le motivazioni occupazionali (in caso di vittoria del SI, 
circa settemila lavoratori impiegati nel settore perderebbero il posto di 
lavoro, motivo per cui diversi sindacati si sono schierati a favore 
del NO) e le motivazioni economiche (dismettere gli impianti prima del
 tempo significa chiaramente un costo enorme per le spese di ammortamento,
 perché vuol dire non usare quell’impianto per l’intera vita operativa per cui
 era stato progettato) voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare 
a votare nella speranza che non venga raggiunto il quorum, mi sembra la 
soluzione “più sostenibile”:

1) Lo stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che il petrolio.
 In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle campagne “No-Triv”, 
viene estratto per la maggior parte a terra e non in mare. Gli impianti che 
saranno oggetto del referendum estraggono fondamentalmente metano, che 
sebbene fossile, è una fonte di gran lunga meno dannosa del petrolio e
 ancora per molti versi insostituibile (attualmente il 54% dell’offerta
 energetica mondiale). In questa pagina del sito dell’Ufficio Nazionale
 Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse, vi è l’elenco completo 
delle piattaforme oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia),
 la profondità del fondale (dato spesso sottovalutato, ma molto importante)
 e il tipo di combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si faccia 
portavoce di immagini con ragazzi in costume da bagno ricoperti di 
catrame e poveri pennuti starnazzanti nel petrolio, scorrere velocemente 
l’elenco degli impianti farà capire brevemente come la percentuale di 
impianti a GAS sia in netta maggioranza rispetto a quelli a OLIO.
Questo si traduce con una sola frase: Siamo disinformati e pronti ad 
abboccare a qualsiasi cosa, basta che sia green.


2) la vittoria del SI porterà comunque alla costruzione di altri impianti.
 La costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata
per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06)
 e su questo possiamo stare sereni. 
La vittoria del SI non potrà, però, impedire
 alle compagnie di 
spostarsi e costruirenuovi impianti poco oltre questo limite.
Praticamente con il SI 
quello che vogliamo dire alle compagnie
e: 
Sentite, anche se avete ancora un botto di gas da estrarre
in questo giacimento, chiudete tutti 
i rubinetti e spostatevi più lontano oppure andatevene
in un altro paese.
Si, significa questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora potrà 
scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso mare, dismettere l’impianto
entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno nuovo a 12,5 miglia
 (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla) oppure andare a cercare
giacimenti altrove, sulla terraferma o in altri paesi.
Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno potenziati,
per sopperire al fabbisogno energetico. 
Se vietiamo l’utilizzo degli impianti
esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a prendere, no?

3) La vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi, contribuisce ad
 aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. 
Ora, immaginiamoci un disastro ambientale,
un grave incidente a una piattaforma petrolifera posizionata
“correttamente” e cioè oltre il limite delle
 12 miglia. Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano
 fare la differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di
Greenpeace o panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata
 all’avanzare del petrolio verso le coste. In più lo stop delle piattaforme esistenti
 si tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che vanno a spasso per i nostri
 mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più ma di
 cui avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che trasportano
 petrolio e che possono esplodere o essere soggette a perdite e sversamenti.
Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico, anche la Croazia e la Grecia
trivellano e, in futuro, potrebbero attingere ai giacimenti che l’Italia abbandonerà
 in caso di vittoria del SI. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia
 proprio nulla.

4) La vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a favore delle
 energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare.
 Cosa vi aspettate, che all’indomani della cessazione delle attività 
nelle piattaforme, l’Italia magicamente si sosterrà solo con le rinnovabili?
 Siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili fossili non sia una pratica
 sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe puntare non alla 
costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo di quelli
 già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili 
sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un futuro (credo 
ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili
 ma ciò deve essere fatto un passo alla volta, con la consapevolezza che un
 periodo di “transizione” è fisiologico e l’utilizzo delle fonti fossili, 
soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in questo passaggio. In poche
 parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo essere in grado di sostenere
 subito “la baracca” in un altro modo altrettanto efficiente. Le stesse
 Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF hanno
 detto“quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari 
è il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti
 nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte 
le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito 
un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso 
dei territori e dei mari italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo 
che definiamo il Piano energetico, l’Italia come vivrà?

5) Il referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione
dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha
 nell’immaginario comune. 
Non è un referendum lo strumento
 più adatto per risolvere un tema così complesso e così
tecnico. O meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli
esperti di coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo
.
Trivellare non vuol dire necessariamente essere contro le
 politiche green, anzi, la normativa di settore è piuttosto
severa e restrittiva nei confronti delle concessioni e degli
adempimenti a cui le compagnie devono prestare attenzione

6) Non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato
 il turismo… 
Se così fosse, il litorale romagnolo
(dove ci sono il maggior numero di impianti)
non registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che
sono invece ben noti. Così anche la Basilicata.
In poche parole il turista da peso ad altre cose,
e non alla presenza delle piattaforme.
7) …e non è vero neanche che l’estrazione di combustibili 
dal sottosuolo può innescare terremoti come quello
 avvenuto anni fa in Emilia.
 Questa è un’argomentazione
 piuttosto tecnica di cui non auguro la lettura integrale
nemmeno al mio peggior nemico, ma se volete trovate
le conclusioni del rapporto a pagina 56 e successive di
 questo documento.
8) La vittoria del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi
in via di sviluppo. 
Dal momento che nel giro di qualche
 anno verranno dismesse le nostre piattaforme e che il
 passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto
lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli
di casa
 e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano
 che le compagnie si dovranno andare a cercare da qualche
altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa
 è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per
 il nucleare). E noi lo compreremo questo metano, lo
compreremo più caro ma con la coscienza più pulita perché
siamo ambientalisti
 e abbiamo detto che il nostro mare
“non si spirtusa”. Il nostro mare, appunto. Per fortuna
arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni che
, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava
soddisfatto
In Mozambico l’Eni
ha fatto la più importante scoperta di gas della sua
storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero
 di soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni
.
Inutile dire quanto poco gliene possa fregare del gas agli
 abitanti del Mozambico, loro che non hanno nè fornelli né
 automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio
 e loro si prendono solo gli eventuali rischi 
più qualche spicciolo
 che andrà nelle casse del governo locale. Molto comodo essere
 ambientalisti così, evvero?
Io sinceramente non mi sentirei a posto con la coscienza a votare SI
e poi accendere i fornelli con il gas che viene non dall’Adriatico
(no per carità, il nostro mare va tutelato) ma dal Mozambico che
accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato,
accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli occhi per
 piangere e nessun potere contrattuale per dire “no, noi
le vostre trivelle qui non le vogliamo”.
Quindi mi auguro semplicemente che chi deciderà di
votare SI abbia un comportamento ineccepibile dal punto
 di vista energetico. Questo non significa solo fare la differenziata
 e andare in bicicletta. Significa essere pronti, per coerenza
 personale, a rinunciare all’indomani del referendum a qualsiasi
 forma di utilizzo dei combustibili fossili
. Significa non possedere
 né auto né moto che non siano elettriche; significa non viaggiare
né in aereo né in nave; significa avere una casa totalmente sostenuta
 da rinnovabili, con stufe a pellet o i raggi infrarossi; significa non
 comprare tantissimi prodotti che fanno parte della nostra vita
 quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati combustibili
 fossili. Insomma, significa essere degli integralisti energetici,
avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti,
tra quelli che voteranno SI hanno una condotta del genere?